giovedì 7 marzo 2024

Ucraina. La “linea Zelensky” non tiene, Kiev teme il tracollo di Marco Santopadre | 7 Mar 2024 | Apertura, Mondo di Marco Santopadre

 Pagine Esteri, 7 marzo 2024 – Sostenuti dai consiglieri e dagli “specialisti” dell’Alleanza Atlantica e dai servizi statunitensi e britannici, i comandi militari ucraini cercano di colpire le infrastrutture all’interno del territorio russo – in particolare nella regione di Belgorod – e recentemente sarebbero riusciti ad affondare il pattugliatore russo Sergey Kotov nel Mar Nero.
Sul terreno, però, le forze armate russe continuano a conquistare terreno, e la fine della lunga quanto inefficace controffensiva ucraina ha lasciato spazio ad un’avanzata delle forze di Mosca che dura ormai da settimane.

La “linea Zelensky” non tiene
Lo stallo di fondo tra le forze dei due schieramenti permane, ma nelle regioni orientali dell’Ucraina, in particolare nel Donbass, le forze di Kiev faticano anche solo a mantenere le posizioni rafforzate negli ultimi mesi dalla realizzazione di linee difensive fortificate, trincee e campi minati. A detta degli esperti, però, la cosiddetta “linea Zelensky” è incompleta e spesso si rivela inefficace di fronte agli attacchi delle forze di invasione.

I russi hanno più uomini, più mezzi e più munizioni e continuano a rosicchiare terreno dopo aver conquistato Avdiivka e altre località qualche chilometro più a ovest. Anche in direzione di Kharkiv le difese ucraine sono sottoposte a continui assalti e la situazione a Kupyansk si è fatta difficile, così come a Robotyne, verso Zaporizhzhya.

Secondo i servizi di intelligence della Lituania, nell’ultimo anno la Federazione Russa ha notevolmente rafforzato la propria capacità bellica nonostante le sanzioni, grazie ai massicci investimenti statali nell’industria degli armamenti. A detta di Vilnius, Mosca attualmente avrebbe le risorse sufficienti a condurre il conflitto in Ucraina per altri due anni.

 Mancano truppe fresche
A pesare sulle capacità militari di Kiev, oltre alla crescente penuria di munizioni, è anche l’incapacità da parte del governo ucraino di varare una nuova legge capace di reclutare truppe fresche da inviare al fronte. Nonostante gli impegni presi, Zelensky e i nuovi vertici militari ucraini non sono in grado di accordarsi sulla strategia da adottare, scrive il “Washington Post”. Secondo il quotidiano statunitense, il governo ucraino non è in grado di formulare un piano di mobilitazione efficace nonostante «da mesi stia montando l’allarme per la grave carenza di truppe qualificate al fronte». Nel frattempo le forze armate sono costrette a dipendere da «un’accozzaglia di iniziative di reclutamento» forzoso, che «hanno diffuso il panico tra gli uomini in età da combattimento».

Molti di loro, dato il divieto di lasciare il Paese (spesso aggirabile pagando una mazzetta ai funzionari e alle guardie di frontiera) «tentano talvolta di darsi alla macchia» nel tentativo di evitare l’arruolamento.
Nel frattempo la bozza di una legge che mira ad abbassare l’età minima per la coscrizione da 27 a 25 anni, riducendo inoltre le possibilità di evitare la mobilitazione per studenti e lavoratori, è bloccata in parlamento, gravata da più di 4 mila emendamenti. Neanche la sostituzione dell’ex comandante in capo delle forze militari ucraine Valery Zaluzhny, inviso a Zelensky, con il generale Oleksandr Syrsky – che a sua volta ha sostituito molti dei responsabili militari a lui sottoposti – ha impresso la necessaria svolta, impossibile senza un provvedimento legislativo che mobiliti forze fresche e giovani.  Secondo il “Washington Post”, inoltre, del milione di uomini mobilitati negli ultimi due anni, solo 300 mila sarebbero stati effettivamente inviati al fronte. La maggior parte di questi ultimi sarebbero stanchi e sfiduciati sull’andamento del conflitto e tra le linee ucraine regnerebbe il pessimismo, se non il disfattismo. Una stanchezza strategica, e non più contingente.
Secondo numerosi analisti e media, il rischio è che le difficoltà incontrate dalle forze armate ucraine a tenere le linee teoricamente fortificate possa rappresentare il segno che Kiev sta rischiando il tracollo.

Governo in difficoltà
A due anni dall’invasione russa, l’abusata retorica di Zelensky su una “vittoria assoluta e certa contro Mosca” rappresenta ormai per molti una prospettiva scarsamente credibile.Diversi parlamentari ed esponenti politici ucraini criticano ormai apertamente il primo cittadino, accusandolo di incapacità e di raccontare favole alla popolazione rispetto all’andamento del conflitto per non mettere ulteriormente a rischio la sua residua popolarità.
A far infuriare alleati e competitori – sempre più numerosi – la presidenza della Verkhovna Rada (il parlamento monocamerale di Kiev) ha rimandato le previste riunioni programmate per il 6, il 7 e l’8 marzo. Di fatto il parlamento monocamerale di Kiev non dovrebbe riunirsi in sessione plenaria per quasi un mese. Il lungo stop ai lavori, giustificato con la necessità di concentrare le energie sulla redazione di un fondamentale rapporto destinato al Congresso di Washington, nasconderebbe invece una crisi parlamentare indotta dall’incapacità da parte del presidente e dell’esecutivo di gestire una situazione sempre più complicata.


Washington prepara la fuga di Zelensky?
Secondo molte fonti la situazione a Kiev sarebbe più grave di quanto traspare, al punto che il Dipartimento della Difesa di Washington starebbe studiando un piano per permettere al presidente Zelensky – scampato ieri per 150 metri ad un bombardamento russo su Odessa mentre era in compagnia del primo ministro ellenico – di abbandonare il paese nell’eventualità di un collasso del suo governo e di un crollo delle difese ucraine. Almeno è quanto sostiene Stephen Bryen, ex funzionario della commissione esteri del Senato Usa ed ex vice sottosegretario per la Difesa statunitense, in un editoriale pubblicato dal quotidiano “Asia Times”.
Secondo il quotidiano asiatico, se le difese ucraine dovessero crollare, a Kiev potrebbe insediarsi un esecutivo disponibile al negoziato con Mosca ed a quel punto occorrerebbe mettere in sicurezza l’attuale presidente.

Secondo Bryen l’amministrazione Biden vorrebbe però assolutamente scongiurare uno scenario simile fino alle elezioni presidenziali per evitare un fallimento politico anche più grave del ritiro delle forze statunitensi dall’Afghanistan nel 2021, che ipotecherebbe del tutto le possibilità di vittoria dei democratici.

L’unico modo per evitare un sempre più probabile cedimento ucraino, secondo Bryen, sarebbe rappresentato da un intervento massiccio e più o meno diretto delle forze dei paesi della Nato, o comunque di alcuni di essi, da giustificare magari attraverso una provocazione che presenti l’escalation come obbligata.

Una mossa del genere, però, avrebbe conseguenze enormi sull’allargamento del conflitto tra Alleanza Atlantica e Russia e al momento non sembra che Washington e i suoi più stretti alleati siano disponibili a imbarcarsi in un conflitto su larga scala con Mosca. Certo, le dichiarazioni del capo del Pentagono Lloyd Austin di qualche giorno fa – «se l’Ucraina cade credo davvero che la Nato entrerà in guerra con la Russia» ha detto pochi giorni fa Lloyd Austin – sembrano indicare il contrario.

Che le affermazioni di Austin e di Bryen siano fondate e vadano quindi prese sul serio è difficile dirlo, anche se sicuramente l’ex funzionario USA mantiene importanti canali all’interno degli apparati di Washington. In ogni caso, se anche quella di Bryen fosse una provocazione, il suo editoriale la dice lunga sul clima che si respira a Kiev e alla Casa Bianca. Pagine Esteri

lunedì 5 febbraio 2024

LA BELLEZZA ovvero il respiro dell'anima universale di Ugo Arioti (n1)

 

 


Buongiorno, oggi cominciamo un percorso culturale che ci può condurre ad una vetta altissima e trascendentale, tanto da far venir le vertigini: la bellezza. La nostra vita è un viaggio che ci porta verso di lei, ma spesso rifuggiamo dal nostro destino preferendo a questa luce il buio che ci nasconde. Dire Bellezza è parlare del divino che è in noi. I Popoli che hanno respirato lo scambio culturale tra Africa Asia ed Europa le hanno dato diversi nomi, ma lo strumento dell'antichità classica che serviva a raggiungere il traguardo erano le "MUSE". Era l'Arte, la Gioia, la vita e il rispetto della sua essenza. Cose che oggi sono andate perse. Brancoliamo nel buio e viviamo nella menzogna, Ma torniamo sul tracciato, le Muse! Le Muse (in greco antico: Μοῦσαι, -ῶν?; in latino: Mūsae, -ārum) sono nove divinità femminili della religione greca. Erano tutte sorelle, in quanto figlie di Zeus e di Mnemosine (la "Memoria") e la loro guida era Apollo. L'importanza delle muse era elevata: esse rappresentavano l'ideale supremo dell'Arte, intesa come verità del "Tutto" ovvero l'«eterna magnificenza del divino». E cos'è il Divino se non l'esistenza e il sogno della libertà dell'anima di interagire con le altre galassie dell'Universo, con la loro musica,  la loro geometria, la loro matematica. Il segreto dell'Universo: la bellezza. Dobbiamo ritornare ad essere guerrieri della Luce e uscire dal buio delle nostre anime avvelenate da finti miti di progresso e di potere, effimeri quanto il respiro di una candela.

 

domenica 4 dicembre 2022

 

Palermo, carte e fossili meccanici,

mostra in via D’Amelio di Emilio Angelini

(articolo di Ugo Arioti)


L’osservazione della persistenza nella storia della cultura di un’interferenza tra scrittura e immagine e lo studio di alcune esperienze significative della scena asemica/poetico-visiva italiana, mi aveva portato su una spiaggia come quella di Mendrisio (dove il mare è solo un lago), in un mondo utopico dove quest’interferenza ha ragione di esistere e di prosperare.

Pensavo che tutto fosse, ormai, relegato ai miei esercizi di pazienza durante lunghe, estenuanti ed inutili riunioni amministrative per monitorare i lentissimi movimenti delle poche e vecchie opere pubbliche siciliane, negli anni del mio travaglio lavorativo nell’Amministrazione.

Pensavo, stupidamente, che quegli schizzi e quelle frasi vuote dove disegno e poesia si incrociavano maldestramente fossero i soli prototipi della mia fantasticheria asemica.

La mia città? Palermo. Un’urbe dove tutto e possibile e il seme trascinato dal vento trova abbondanti orge di terra vegetale capace di far venir fuori dal cielo una pianta verde e forte come una palma o un ulivo.

Così, girando e cercando ho avuto l’occasione di conoscere un artista, un maestro ceramista e scultore palermitano che nelle sue sculture e nei suoi fossili meccanici mi trasmetteva l’idea sempre più forte di un’interferenza possente tra scrittura e immagine.

La conferma l’ho avuta proprio in questi giorni, esattamente il due di dicembre, visitando, in via D’Amelio, la mostra del maestro Emilio Angelini “CARTE” e “FOSSILI MECCANICI”.

I suoi pannelli, i fossili meccanici, colonne o palme dell’Oasi, poi, come una visione, una parete intasata quasi del tutto dalle sue carte acquarellate contenenti la scrittura asemica. In che meravigliosa città vivo! La ripartenza della ex “Mediterraneo”, in via D’Amelio è dedicata al lavoro dello scultore palermitano delle Monelle e dei fossili meccanici. Salvo Ferlito presenta quelle carte come grafica, ma è molto di più è poesia. È rappresentazione della forza espressiva del segno! Ti trascina dentro la narrazione dell’Angelini con una leggerezza immortale e infinita dove il mondo non ha bisogno di essere descritto con una sua immagine fotografica, ma con segni che penetrano la corteccia della natura umana per arrivare al suo cuore, all’essenza del racconto. Potresti immaginare dei lettori dell’anno tremila che ci osservano e gettano uno sguardo sulle nostre intime parole che non compongono discorsi compiuti, allineati e coperti, ma immagini dell’anima nostra in una pietra d’ambra. Grazie, Emilio. Mi hai spiegato che i sogni sono la vita e la vita è un’illusione fantastica!


 

venerdì 8 luglio 2022

Vorrei una scuola che costruisce uomini e non automi (Ugo Arioti)

Hanno cambiato la scuola italiana. Troppo nozionistica e non rispondente ai bisogni delle imprese- Avanti tutta con insegnamenti mirati e stage in azienda e al cesso tutto il sistema educativo desueto e antiquato, si studiano ancora lingue morte e filosofia! Sono superflue, basta sapere chi fu Socrate e chi fu Platone, magari anche Aristotele, dai se volete, tanto per memoria, ma basta con l'umanesimo nella scuola, ci vuole tecnologia, telefonini e internet, il resto è chiacchera. La colpa? Di tutti, dalla destra alla sinistra nessuno ha mai pensato che la scuola è fondamentale per creare una Società matura e capace di affrontare le sfide che ci attendono.
Bisogna fondare la sfera umanistica prima di quella tecnologica. prima l'uomo e poi lo specialista, il medico, l'ingegnere, l'architetto, il tecnico e l'amministrativo, lo scienziato e l'inventore! Hanno scordato come si costruisce una società giusta e progredita? 
No. Questo è il modello capitalistico per il controllo dei popoli, sempre più ignoranti, sempre più impreparati a vivere, ma capaci di montare un pezzo di missile o di macchina, ignorando del tutto il perchè della costruzione dell'insieme! Così, le loro scelte passano sulla testa vuota della gente. 
Possono mettere in campo forme sempre più raffinate di controllo come il COVID o le altre schifezze costruite in laboratori fatti da tanti ricercatori, ma da nessun uomo.
Sinceramente, questo modello non mi piace. Non fa crescere l'umanità, ma la mette alla mercè di autocrati e terroristi.
 

 

venerdì 10 giugno 2022

La “Società del superfluo” di Ugo Arioti

 

La “Società del superfluo”


I Gruppi di Potere delle società in cui viviamo oggi usano il progresso per far regredire la popolazione mondiale, e non pensano, nemmeno minimamente, a far fronte alla fame, alle carestie e alle sacche di arretratezza agroalimentare del Mondo (per queste “facezie” delegano organismi pesanti e astrusi – le chiamano organizzazioni mondiali – che solo per muoversi hanno bisogno di miliardi di dollari), figuriamoci poi pensare alla salvaguardia della Natura e del Pianeta che, bontà sua, ci ospita.

Il tecnicismo e la burocrazia inutile hanno sostituito le amministrazioni del territorio eco sostenibili e culturalmente avanzate!

In Italia, per fare un esempio, hanno scardinato i principi “antiquati” della scuola italiana del Gentile e di Benedetto Croce, che, pur con tutte le possibili e necessarie correzioni, si basava sulla capacità di essere prima uomini, prima che specialisti di un ramo tecnico. Perché, se hai un bagaglio culturale umanistico sei in grado di sviluppare le tue qualità in ogni direzione.

Chi siede nelle poltrone del potere vuole che anche un perfetto animale, ignorante di qualsiasi filosofia umana, possa diventare un astrofisico o un ingegnere nucleare, finalmente e naturalmente assoggettato a una dottrina del fare che non contempla la ricerca dell’utilità umana per quello che si fa.

Eppure, un certo Einstein, scienziato ironico e umano, uno che suonava il violino e immaginava l’Universo con il suo cuore e con la sua mente ci aveva messo sull’avviso. Non abbiamo mai ascoltato, e molti cittadini delle moderne democrazie se interrogati per strada forse nemmeno sanno, a parte quelli che seguono le pubblicità televisive, chi era Einstein e quale fu il suo destino per l’Umanità tutta!

Così, aumentano le speculazioni, l’inflazione, la vendita di armi, le guerre, le distruzioni, tanto poi c’è la fessa di turno, tipo Ursula, che va in giro dicendo che ricostruiremo il mondo col modello delle industrie tedesche e americane, ma senza avere un minimo scrupolo nel cercare di fermare un conflitto che bussa alla porta, anzi.

E in questo tipo di società la mafia, la massoneria deviata e i potentati economici, costruiscono i loro imperi con la corruzione, l’inganno e gli assassini. La cifra di questo “nuovo mondo” è l’apparenza e l’apparire! Se ci sei, anche in un solo diaframma televisivo, allora esisti. Se non hai questa fortuna, ci sono i social, strumenti di controllo e di manipolazione, elargiti per farti sfogare senza danno al sistema. Tutto per togliere lo “SPAZIO CRITICO”, dove il pensiero libero è creativo e può nuocere ai Draghi e ai loro amici!

Così, declassificata la scuola e commercializzata l’Arte, fino ad essere solo un decoro delle città dei potenti e dei poveri, finta democrazia, hanno creato il pensiero debole (in buona sostanza. Stai sempre allineato e coperto e non prendere spifferi e correnti, altrimenti ti inventiamo una bella pandemia e ti teniamo fermo fino a quando ci fa comodo).

Ecco, questa è la “Società del superfluo”.

Vi state chiedendo: come funziona questa Società? Semplice, creando posti inutili in amministrazioni, imprese e nell’intrapresa sociale ed economica. Insomma, saturando il mercato del lavoro con sottosistemi lavorativi che non hanno alcun bisogno di essere strutturati e di avere infrastrutture logistiche: i Col Center e i portavoce del tale amministratore, politico, impresario, commerciante, ufficio postale.

Allora immaginiamo la storia contemporanea e gli avvenimenti della cronaca visti da una ragazza che per 300 euro al mese, spende la sua voce per adescare nuovi clienti, o del pubblicista che non capisce niente di quello che si fa nella fabbrica in cui lui riveste il ruolo di spiker del capo, cioè è costretto a dire quello che non capisce e che in alcuni casi è sgradevole e indicibile, ma siccome lo sta dicendo lui e non il suo capo può essere sempre smentito. Come chiamarli questi lavori: filtri?

Ecco, la nostra società non vede di buon occhio i liberi pensatori, ma è costretta ogni giorno a combattere contro i “FILTRI” che non hanno alcun potere informativo o decisionale e servono solo a far perdere tempo e denaro ai cittadini che vengono vessati da una burocrazia cieca e inutile, che produce solo norme sterili e inefficaci.


sabato 19 marzo 2022

L'espansionismo degli U.S.A. -La fase del capitalismo finanzario speculativo, ovvero la distruzione del Mondo


 
 
Vi ricordate la favoletta di Busch sulle armi chimiche che i laboratori iracheni stavano costruendo per spazzare via il mondo civilizzato? Saddam, sì, anche lui un dittatore. Voi, cari burattini, non conoscete il vostro Mangiafuoco, perciò siete convinti di vivere in uno stato democratico e libero, infatti i capi del Governo da un po' di tempo li elegge il capo dello Stato ( Tutore della Nazione), non gli italioti. Quindi voi siete liberi di consumare e di pagare e di subire tutto quello che vi impongono, ma democraticamente ponendovi a 90 gradi. Buon per voi, se questo vi rende felici! Ma ritorniamo alle bugie americane che causarono una guerra "amica", pardon una missione di PACE, che ci è costata un occhio della testa, avremmo già eliminato tutto il debito pubblico italiano se non fossimo andati in IRAQ. Ma chi l'ha fatta sta guerra e perchè? Per eliminare un dittatore, dite voi. Bravi, siete preparati, la maestra vi darà un bacio in fronte e un vaccino da sorbire in tre dosi per cautelarvi dal virus della verità.
Troppi parlano con lo stomaco e non ascoltano la loro stessa intelligenza, ahimè messa al servizio di un consumismo sfrenato che uccide il pensiero e crea sempre più divari tra ricchissimi e poverissimi. Lo sapete, per es. che lo stipendio medio in EUROPA, non in AFRICA, di un giovane diplomato va da 1000 a 1200 euro, no? Cosa fa? mette su famiglia e si indebita per tutta la vita, ma in piena libertà di obbedire ai potentati economici che dell'ECONOMIA REALE se ne sbattonno, perchè il CAPITALISMO è arrivato alla fase della SPECULAZIONE DISTRUTTIVA. 
 
«Li soprani der monno vecchio>> Gioacchino Belli - poeta e patriota italiano 
 
C'era una vorta un Re cche ddar palazzo
mannò ffora a li popoli st'editto:
"Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,
sori vassalli bbugiaroni, e zzitto.
Io fo ddritto lo storto e storto er ddritto:
pòzzo vénneve a ttutti a un tant'er mazzo:
Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba Io ve l'affitto.
Chi abbita a sto monno senza er titolo
o dde Papa, o dde Re, o dd'Imperatore,
quello nun pò avé mmai vosce in capitolo!".
Co st'editto annò er Boja per ccuriero,
interroganno tutti in zur tenore;
e arisposeno tutti: "È vvero, è vvero!".»
 
 

 

domenica 16 gennaio 2022

Gilda Buttà, pianista di origine messinese e Luca Pincini, violoncellista

 

Il Grande cinema ha spalancato loro le porte dell’esecuzione nelle più belle colonne sonore. L’attaccamento sfrenato per la musica li ha uniti anche nella vita.

Gilda Buttà, pianista di origine messinese e Luca Pincini, violoncellista, sono due artisti di qualità internazionale che, sabato 23 novembre, all’Auditorium del Palacultura “Antonello da Messina, hanno reso indimenticabile un altro appuntamento della stagione concertistica dell’Accademia Filamornica. Moglie e marito nel privato, i due hanno suggellato un armonioso equilibrio che balza dal rigore verso il classico alla curiosità per altre scelte musicali, quali jazz, pop, rock, elettronico e canzone d’autore. Il loro ultimo cd “Composers” Vol. II, per esempio, è un omaggio rivolto a tanti Compositori (partendo dal Vol. 1, ben 31) dell’era moderna che, in realtà, dedicano al duo le loro creazioni. Una stima reciproca che scaturisce solo dalla consapevolezza di alti livelli espressivi. Gilda e Luca, a Messina, hanno programmato una scaletta che segna il loro percorso di maturazione. Ad aprire la loro perfomance è stata la Sonata Op.19 in sol minore di Rachmaninov, che ha esteso il suo timbro impetuoso e monumentale. L’interpretazione compatta, proprio come richiede l’opera nei suoi 4 movimenti (Allegro moderato, Allegro scherzando, Andante e Allegro mosso), ha dettato uno sviluppo più pacato e sentimentale con un cambio d’atmosfera. La serata è stata un susseguirsi di pezzi all’insegna del romanticismo. E quale Maestro più grande per delineare l’amore e la passione in melodia, se non Morricone! Buttà e Pincini ci hanno fatto immedesimare nelle pellicole a cui si sono ispirati. Le “Suite Tornatore” ci hanno catapultato prima sulla nave de “La leggenda del Pianista sull’Oceano”, quando il protagonista Novecento ha incrociato gli occhi azzurri di una ragazza attraverso un oblò; poi, in quel paesino della Sicilia, nel “Nuovo Cinema Paradiso”, dove un bambino ha imparato a credere nel vero amore attraverso il cinematografo. Il duo ha attuato sequenze sceniche mediante il potere travolgente delle note: prima l’assolo di piano, poi l’ingresso del violoncello; ancora, sintonia perfetta tra i loro strumenti e le emozioni. Dal romantico assoluto all’energia del Western, il passo è breve! Così le “Suite Leone” sono state una prosecuzione naturale con “C’era una volta il West” e “Per Pugno di dollari”. L’autore di musiche stupende per film storici ha consegnato personalmente queste partiture per il team Buttà e Pincini che hanno l’opportunità straordinaria di eseguirle. La loro discografia in cd e dvd e altre produzioni, in connubio con Morricone, si protrae da parecchio tempo. Lei, come solista da 25 anni; lui da 15 anni. Insieme hanno firmato “Absolutely Ennio Morricone”, per U07 Records.

Quello che doveva essere l’ultimo brano, è stato solo il terzultimo per i tanti applausi. Anche “Le Grande Tango” di Piazzola è stato adattato dal compositore appositamente per il duo Buttà e Pincini. La sensualità e lo struggimento del tango diventano vibranti sui tasti e sulle corde. “Al di là dell’ovvietà – chiarisce Pincini- stiamo cercando di restituire la musica da camera alle opere più gettonate”. La richiesta infatti è per gli autori moderni. La “Piazzollite”, com’è stata definita da alcuni, sta dilagando. L’affiatato duo non vuole assecondare il pubblico ma vuole coinvolgerlo con risultati impressionanti. Il bis di fine concerto ha onorato Gershwin con un malinconico “Summertime” e un festoso “I’ve got Rhythm”. Questi sono frutto di un lavoro discografico a tre, “Playing George Gershwin”, insieme a un ottimo arrangiatore Gianni Ferrio, nonché amico della coppia, direttore d’orchestra e compositore, scomparso un mese fa. Il brano “Free” ha chiuso la serata ed è stato scritto dall’autore palermitano Maurizio Bignone. La partitura inneggia ad uno spirito libero ed “esorcizza la gabbia che ci è stata calata sopra la testa”.

Se in coppia gli artisti sono un’attrattiva per prestigiose collaborazioni, non da meno sono molto ricercati per importanti ruoli solistici nel mondo del Grande Schermo.

Per loro, oltre a Morricone e Ferrio, anche Armando Trovajoli, Luis Bacalov, Nicola Piovani, Franco Piersanti, Paolo Buonvino, Carlo Siliotto, Antonio Di Pofi, Marco Betta, Lele Marchitelli e tantissimi altri hanno composto tra i più memorabili temi per tanti famosi films. In particolare, Gilda ha partecipato a tutte le colonne sonore di Morricone; in alcune più protagonista: “La leggenda del pianista sull’oceano”, “Canone inverso”, “Love affair”, “Gli intoccabili”, “Frantic”, “Vittime di guerra”, “Il Papa Buono” e “Bugsy”. Annovera collaborazioni con Mina e Vasco Rossi.

Luca come violoncello solo, per Morricone, è protagonista ne “Il Fantasma dell’Opera”, “Il Papa Buono”, “Canone Inverso”, “Perlasca”, “La Sconosciuta”, “Vatel” e “La migliore offerta”. Lo ricordiamo anche nei temi dei film di Moretti “La stanza del figlio”, “Il caimano” e “Caos Calmo” ma anche nei film per la tv come “Il commissario Montalbano”. Tra le collaborazioni altisonanti della musica leggera, ci sono Claudio Baglioni, Adriano Celentano, Elisa, Mina, Patty Pravo e Renato Zero.

Il mondo accademico si è accaparrato singolarmente la bravura dei due strumentisti: la Buttà è attualmente insegnante di pianoforte al Conservatorio “L. Refice” di Frosinone; Pincini è docente di violoncello presso il Conservatorio “A. Casella” dell’Aquila.

Entrambi sono stati avviati da piccoli agli studi musicali dai rispettivi padri: lei a sei anni; lui a sette. Poi, tra il diploma con il massimo dei voti e la lode, riconoscimenti eccellenti e vari perfezionamenti, le carriere concertistiche di Gilda e Luca fanno approdare loro nelle più rilevanti Istituzioni, sia come solisti che in formazioni da camera in tutto il mondo.

Gilda ha registrato per BMG, CAM, SONY, MEG ITALY, PRIMROSE MUSIC LONDON, WARNER, VIRGIN, VICTOR, RCA, EMI. Luca per Sony, Decca, Warner, Meg Italy, Cam, Image Music, Heristal, U07, Almendra Music.

Insieme hanno anche inciso, per “Pesi&Misure”, “Two Skies”, con musiche di Rachmaninov, Gershwin, Ferrio e “Clataja”, special guest Roberto Gatto e Luca Bulgarelli.

Musica e musicisti e compositori barocchi di Palermo, la capitale guglielmina del Regno di Sicilia

 

Musica e musicisti e compositori barocchi di Palermo, la capitale guglielmina del Regno di Sicilia

Vincenzo Amato

Nacque in Ciminna il 6 gennaio 1629 da Giandomenico e Laura Amato, persone di onesta ed onorata condizione.

Da giovinetto entrò nel seminario arcivescovile di Palermo e, finito il corso degli studi, ottenne la laurea in sacra Teologia. Ma non fu per questo che egli si rese celebre e fece onore al suo paese. Iniziato negli ordini sacri si diede con tutto l’animo allo studio della musica secondando la sua naturale inclinazione, e in questo studio riusci espertissimo. Infatti nel 1656 pubblicò in Palermo alcuni lavori pregevolissimi, che sono giunti sino a noi:

1. Sacri concerti a 2, 3, 4 e 5 voci, con una messa a 3 e a 4 voci. Libro I. Opera I. Pan. apud Bisagnium 1656.

2. Messa e salmi di Vespro e Compieta a 4 e 5 voci. Libro I. Op. II. Ibid. 1656.

Oltracciò, mise in canto a recitativo piu o meno allungato, secondo il senso delle parole che esprime con forza e con verità, la Passione scritta da S. Matteo e quella da S. Giovanni, che si cantano ancora in tutte le chiese di Sicilia; lo stile e semplice e assai devoto, allorché si eseguisce solo quello che vi ha notato l’autore.

A Roma fu riguardato come un capolavoro di canto sacro, e l'Abate Vito Amico, nel suo Dizionario topografico narra che, pochi anni prima della rivoluzione francese, gli fu richiesta dall’Abbate Zeril, ex-gesuita palermitano, che allora trovavasi stabilito a Mayenne, città della Francia, la musica di Amato del Vangelo secondo S. Matteo e che, eseguita sotto la sua direzione dai preti francesi, piacque moltissimo, come gliene scrisse lo stesso Zeril con sue note. Per questi meriti, nell’anno 1665, fu eletto maestro di cappella nella cattedrale di Palermo, ove espresse armonici concerti, uditi sempre con piacere e con lode dal pubblico.

Egli diede un grande impulso alla musica sacra nel secolo XVII, e fece sentire in Palermo le sue Passioni piu di mezzo secolo prima, che il celebre Giov. Sebastiano Bach, nel 1729, facesse eseguire, per la prima volta a Lipsia, la sua Passione secondo S. Matteo.

Mori in Palermo il 29 luglio 1670 nella giovane età di 42 anni. Ebbe solenni esequie, alle quali intervennero il corpo di tutti i musici, il capitolo e il clero della cattedrale, e fu sepolto nella chiesa di S. Ninfa dei chierici regolari addetti al servizio degli infermi, ora detta dei Crociferi, menzionato dal Mongitore nella Biblioteca Sicula.





Sigismondo D’India

Sigismondo d’India (Palermo, 1582 circa – Modena, 19 aprile 1629)



Egli fu un considerevole compositore, contemporaneo a Claudio Monteverdi. Scrisse musiche di vario genere molto apprezzate al suo tempo.

Nacque probabilmente a Palermo nel 1582, ma i dettagli sulla sua vita sono sconosciuti fino a circa il 1600.

Non si conosce nulla della sua prima formazione musicale tranne ciò che lui stesso scrive nella prefazione alle Musiche, 1609: “…insino dalla fanciullezza mi procurai di conversare con huomini intelligenti della Musica, et da suoi dotti discorsi imparare ciò, che desideravo sapere sì del comporre a più voci, come del cantar solo.“.

Durante il primo decennio del Seicento, egli viaggiò per l’Italia in lungo e in largo, incontrando altri compositori, acquisendo i favori dei principi alle cui corti si presentava e assorbendo gli stili musicali degli artisti che incontrava. Il suo fu un periodo di transizione nella storia della musica; lo stile polifonico del tardo Rinascimento dava luogo alla monodia del primo barocco.

Sigismondo d’India acquisì in maniera molto efficace le novità stilistiche trovate in giro per l’Italia: gli espressivi madrigali di Luca Marenzio, le grandi opere polifonichedella Scuola veneziana, la polifonia conservatrice della Scuola romana, il tentativo di recuperare la musica della classicità greca con la monodia e lo sviluppo della nuova forma musicale che sfocerà nell’opera lirica. È noto che egli fu a Firenze, dove nacque la prima opera lirica, e quindi a Mantova dove operava Claudio Monteverdi. Nel 1610 fu anche a Napoli, a Parma ed a Piacenza. Nel 1611 fu invitato a Torino alla corte del Duca di Savoia dove rimase fino al 1623. Questo fu il periodo più importante della sua carriera di compositore, in cui mise in atto tutto quanto aveva appreso nel suo girovagare dal 1600 al 1610.

Lasciata Torino, apparentemente a causa di intrighi politici, andò a Modena e quindi a Roma; sembra comunque che sia morto a Modena, stando all’indicazione di un documento ritrovato in questa città indirizzato agli “Heredi del Sig. Cavaliero d’India” suggerisce il giorno 19 aprile 1629 come termine ante quem per la data di morte.

Esistono anche notizie circa un invito da parte di Massimiliano I in Baviera ma probabilmente Sigismondo d’India morì prima di potervisi recare.

Sigismondo d’India si cimentò in tutte le forme musicali in voga al suo tempo, quali monodie, madrigali e mottetti.

Le sue monodie, la maggior parte delle sue opere, erano di diverso tipo: arie, lamentazioni, madrigali in stile monodico ed altri ancora.

La musica di d’India è stilisticamente simile a quella di Monteverdi dello stesso periodo: cromatismi espressivi, dissonanze risolte in maniera insolita ed un profondo senso drammatico. Alcune lunghe monodie assomigliano a scene d’opera, anche se d’India non scrisse mai qualcosa che potesse chiamarsi opera.

Alcuni lavori della sua ultima produzione hanno la caratteristica di assommare in essi quasi tutti gli stili, dei più famosi compositori italiani, in un solo pezzo.

Nella prefazione alle citate Le musiche da cantar solo… (Milano 1606) Sigismondo d’India, prende le distanze da quegli autori che creavano composizioni monotone e afferma: “…ritrovai che si poteva comporre nella vera maniera con intervalli non ordinarij, passando con più novità possibili da una consonanza all’altra, secondo la varietà de i sensi delle parole, et che per questo mezo i canti havrebbono maggior affetto, et maggior forza nel mover gli affetti dell’animo di quello, c’havessero potuto operare, se fossero tutte state composte ad un modo con ordinarij movimenti…”

Drammi in musica

  • La Zalizura dramma in musica testo di Filippo San Martino di Agliè (Torino 1611-1612 o 1618 o 1623)

  • La caccia favola pastorale (Torino 1620)

Madrigali

  • Primo libro de’ madrigali a 5 voci (Milano 1606)

  • Secondo libro de’ madrigali a 5 voci (Venezia 1611)

  • Terzo libro de’ madrigali a 5 voci con il suo basso continuato (Venezia 1615)

  • Quarto libro de’ madrigali a 5 voci (Venezia 1616)

  • Quinto libro de’ madrigali a 5 voci (Venezia 1616)

  •  ? Del Sesto libro de’ madrigali a 5 voci ? non è stata trovata voce in diversi cataloghi, si può considerare forse perduto.

  • Settimo libro de’ madrigali a 5 voci (Roma 1624)

  • Ottavo libro de’ madrigali a 5 voci con basso contuinuo (Roma 1624)

Composizioni vocali

  • Villanelle alla napoletana a 3 voci libro I (Napoli 1608)

  • Le musiche da cantar solo nel clavicordo, chitarrone, arpa doppia (Milano 1609)

  • Secondo libro delle villanelle alla napolitana a 3-4 voci (Napoli 1612)

  • Le musiche a 2 voci (Milano 1615)

  • Le musiche…Libro III a 1 e 2 voci (Milano 1618)

  • Le musiche e balli a 4 voci con basso continuo (Venezia 1621)

  • Le musiche a 1 et 2 voci libro IV (Venezia 1621)

  • Le musiche a 1 voce Libro V (Venezia 1623)

Composizioni sacre

  • S. Eustachio dramma sacro, libretto di Filippo San Martino di Agliè (Roma 1625)

  • Liber secundus sacrorum concentuum 3-4 voci (Venezia 1610)

  • Liber primus motectorum a 4 voci col basso seguente (Venezia 1627)

  • La Missa Dominae clamavi ad Te 1626 (in manoscritto)


https://it.wikipedia.org/wiki/Sigismondo_d%27India



Francesco Mamiliano Pistocchi

 PISTOCCHI, Francesco Antonio Mamiliano (detto il Pistocchino o il Pistocco). – Figlio di Giovanni, violinista cesenate, nacque a Palermo nel 1659.


L’assunzione del padre nella cappella musicale di S. Petronio, il 9 settembre 1661, attesta il trasferimento o il ritorno della famiglia a Bologna. Istruito dal padre nella composizione e nel canto, Pistocchi manifestò un precocissimo talento musicale. A otto anni licenziò un libro di Capricci puerili variamente composti e passeggiati in 40 modi […] per suonarsi nel clavicembalo, arpa, violino et altri stromenti «sopra un basso d’un balletto» (cioè sul tema del ‘ballo di Mantova’; Bologna, Giacomo Monti, 1667), dedicato al gonfaloniere di giustizia e agli Anziani della città di Bologna; l’avviso al lettore riferisce prodezze antecedenti: a tre anni il bambino aveva incantato «nelle publiche accademie […] coi suoi canti», e a cinque era stato ammirato dal principe ereditario di Toscana, il futuro Cosimo III, e da molti porporati che l’avevano ascoltato nelle chiese di Bologna o in privato. Nel maggio 1670 cantò in alcune funzioni in S. Petronio; nel settembre successivo il padre interruppe il proprio servizio, forse per lavorare altrove insieme con il ragazzo.

Ai primi del 1674 i due presentarono una supplica ai fabbriceri della basilica: Giovanni per «esser rimesso nel suo posto di violino e tenore» e Francesco Antonio per «essere ammesso per soprano»; il 14 febbraio furono accolti, rispettivamente con due e sei ducatoni mensili. A libro paga nel 1675 e nel 1676, già nel maggio 1675 erano però «cassati e licenziati» per un’assenza non permessa, coincidente con un’esibizione nel teatro di S. Stefano a Ferrara (il giovane vi fece furore nel Caligula delirante di Giovanni Maria Pagliardi: lo si desume da un sonetto in suo onore, Avvertimento a’ Numi dell’Adria; in van der Linden, 2011, p. 59). Nel 1677 furono impiegati a Modena nella cappella di Francesco II d’Este. Nel 1681 Francesco Antonio fu impiegato a Venezia nella cappella di S. Marco; al più tardi l’anno dopo debuttò come operista nel teatro di S. Moisè (Gli amori fatali, rielaborazione di un anonimo Leandro già dato alla Riva delle Zattere nel 1679, e forse anche Il Girello, «rappresentato con figurine di cera»: G.C. Bonlini, Le glorie della poesia e della musica, Venezia [1730], pp. 95 s.). Non oltre tale altezza cronologica va collocato il graduale passaggio al registro di contralto (che non impedì il regolare progresso della carriera) e l’inizio dell’intima amicizia con Giuseppe Torelli e Giacomo Antonio Perti (che gli diede «qualche direzione» di contrappunto e che fu da lui stimato «sopra ogn’altro per il s. Agostino della musica»: Bologna, Museo della musica, K.44.1.91.2 e P.146.195).

Dal 1686 al 1695 fu al servizio del duca di Parma, Ranuccio II Farnese.

Se già nei Capricci puerili vantava di farne parte, nello stesso periodo fu aggregato all’Accademia Filarmonica di Bologna, nella classe dei cantori il 12 giugno 1687 e in quella dei compositori il 25 giugno 1692.

Solo dopo un decennio poté esercitare uffici accademici – principe nel 1708 e 1710, consigliere nel 1701, 1705 e 1715, censore nel 1707 e 1711 –, ma provvide immediatamente, anche da lontano e per tutta la vita, alle musiche di messa e vespro eseguite ogni anno in S. Giovanni in Monte in onore del patrono, sant’Antonio da Padova:  Nel 1719 la sua presentazione di «virtuosi quesiti» portò l’Accademia a istituire il ruolo, poi mantenuto, dei due definitori perpetuiincaricati di dirimere questioni teoriche.

Morto Ranuccio II (1694) e di lì a poco licenziata quasi per intero la cappella di S. Petronio, nel 1696 Pistocchi e Torelli presero servizio alla corte del margravio Giorgio Federico II di Brandeburgo-Ansbach, dove il cantante compose e interpretò lavori di vario genere (la pastorale Il Narciso, libretto di Apostolo Zeno, 1697: Georg Friedrich Händel ne trasse abbondanti prestiti musicali, dal 1705 al 1748; l’oratorio Maria Vergine addolorata, 1698; l’opera Le pazzie d’amore e dell’interesse, 1699). Nel maggio 1697 furono invitati a Berlino da Sofia Carlotta di Brunswick-Luneburgo, elettrice del Brandeburgo e dedicataria del Narciso: vi si trattennero fino ai primi dell’anno successivo. Al soggiorno si lega la pubblicazione degli Scherzi musicali offerti da Pistocchi all’elettore Federico III di Brandeburgo (il futuro re in Prussia): sei cantate e due duetti italiani, due ariette tedesche e due airs francesi (l’autore dichiara di aver imitato in questi ultimi «lo stile gratioso dell’incomparabile Monsieur de Lully»); l’edizione nota (Amsterdam, Estienne Roger, s.a. [ma 1698]; ed. moderna a cura di A. Béjar Bartolo, Lucca 2015) è la probabile contraffazione di una stampa anteriore dell’editore bolognese Marino Silvani: non è dato di sapere se il contenuto coincida con la perduta raccolta di Cantate op. I (recte II?), registrata nel 1734 in un inventario dello stesso editore. Nel carnevale 1699 Pistocchi cantò di nuovo al S. Giovanni Grisostomo di Venezia (Faramondo e Il ripudio d’Ottavia di Pollarolo; nello stesso periodo vi furono trattative con i teatri di Milano e Piacenza). Ancora con Torelli e da Ansbach, sul finire del 1699 passò a Vienna alla corte dell’imperatore Leopoldo I e nel febbraio 1700 vi diede un «trattenimento» carnevalesco, Le risa di Democrito (il libretto di Nicolò Minato risaliva a trent’anni prima); l’imperatore, musicista esperto, ammirò Pistocchi anche per l’abilità nel comporre madrigali in stile antico (segnatamente quello con incipit«Gran Dio, ah, voi languite»). Nel maggio successivo i due erano di ritorno ad Ansbach per ottenere la licenza di partire: eseguita in settembre una nuova cantata di Pistocchi (La pace tra l’armi), poterono infine rientrare in Italia. La fama oltremontana del cantante è confermata dalla menzione che ne fa il libretto dell’opera Der angenehme Betrug oder Der Carneval von Venedig (Amburgo 1707, musica di Reinhard Keiser, atto II, scena 6), dov’è citato insieme con Margherita Salicola, Francesco Ballarini e Pollarolo.

Il 25 febbraio 1701 Pistocchi e Torelli furono assunti nella ristabilita cappella di S. Petronio, sotto il magistero di Perti, e collocati alla testa del coro e dell’orchestra, ben pagati per singola funzione e con posizione semipermanente. Pistocchi compose nuove partiture per la basilica, come il «mottetto per [la festa di] s. Petronio a 8, con due cori di strumenti» del quale diede anticipazioni a Perti nel 1703 (Bologna, Museo della musica, P.146.5). Rientrato in Italia, il castrato puntò inoltre a individuare un erede e a costituire intorno a sé una famiglia tramite adozioni.

Una satira diffusa a Venezia nel 1704 informa del declino vocale del cantante (Bologna, Museo della musica, H.63, c. 96: l’articolazione del suo trillo è paragonata allo scuotimento di un sacco di noci). Ritiratosi dalle scene, Pistocchi continuò per oltre un lustro a esibirsi nelle chiese e nei palazzi patrizi, perlopiù a Bologna (per esempio, in funzioni dell’Arciconfraternita di S. Maria della Morte; a palazzo Albergati, dove nel 1706 prese parte alla serenata Amore e amante di Pirro Albergati Capacelli, «accompagnata da quasi cento istromenti»; e a palazzo Ranuzzi, dove nel 1709 cantò a una festa per Cristiano VI re di Danimarca), nonché a Novara (dove nel 1711 partecipò come cantante e compositore alle feste per la traslazione delle reliquie di s. Gaudenzio). Diede quindi alle stampe un’«opera terza» di Duetti e terzetti (Bologna, Silvani, 1707; ed. moderna a cura di A. Béjar Bartolo, Lucca 2015), dedicata all’elettore palatino Giovanni Guglielmo, e nel 1710 compose l’atto II di un’ultima opera teatrale per il teatro Pubblico di Reggio (I rivali generosi, in collaborazione con Monari e Giovanni Maria Capelli). Nel contempo si affermò come capofila della scuola di canto bolognese e come uno dei massimi didatti vocali dell’epoca; ebbe per allievi, tra gli altri, Gaetano Berenstadt, Antonio Maria Bernacchi, Annibale Pio Fabri, Giovanni Battista Minelli, Antonio Pasi, Domenico Tempesti e Andrea Guerri (Ferdinando de’ Medici glielo affidò di persona).

Ricevuti gli ordini sacri nel 1709, nel 1714 fu nominato cappellano d’onore dall’elettore palatino e nel 1715 entrò nella casa forlivese della Congregazione dell’Oratorio di s. Filippo Neri. Lì ebbe a disposizione mezzi e spazi per proseguire l’attività di musicista (facendosi anche, nel 1718-19, intero carico di un nuovo organo costruito da Francesco Traeri), ma abbandonò poi la casa religiosa e tornò a Bologna.

Nel testamento rogato l’11 gennaio 1725 (Busi, 1891, pp. 182-185) Pistocchi distribuì due clavicembali, molti libri di musica, ritratti di Giovanni Paolo Colonna e Legrenzi, poco altro mobilio di casa e un capitale di 4000 ducati presso i banchi di Venezia. Morì a Bologna il 13 maggio 1726 (risiedeva nella parrocchia di S. Maria Maggiore) e fu tumulato nella chiesa filippina di S. Maria di Galliera.

Tra quanti conobbero Pistocchi e ne tramandarono le virtù, Pierfrancesco Tosi lo definì «musico il più insigne de’ nostri e di tutti i tempi, il di cui nome si è reso immortale per essere stato egli l’unico inventore d’un gusto finito e inimitabile, e per aver insegnato a tutti le bellezze dell’arte senza offendere le misure del tempo» (Opinioni de’ cantori antichi e moderni, Bologna 1723, p. 65), mentre Giambattista Martini scrisse d’aver avuto anch’egli «la bella sorte di venir instruito nel canto, tanto necessario a chi vuole applicarsi a comporre in musica, dal celebratissimo cantante don Francesco Pistocchi, uno de’ più celebri professori che abbia veduto il fine del passato e il principio del secol corrente» (Storia della musica, III, Bologna 1781, p. 437). Le lettere di Pistocchi attestano l’autorità del musicista e uno spirito critico traboccante di vivacità e sarcasmo. Un suo ritratto senile è nel Museo della musica di Bologna; fu egli stesso committente di pitture e sculture di pregio (per esempio, di Felice Torelli, fratello di Giuseppe, e di Giuseppe Mazza).

Le composizioni di Pistocchi non altrimenti destinate nel testamento, «tutte cose all’antica», furono «stimate a peso, per vedere se si può ricavare qualche cosa di più della carta» (cit. in Busi, 1891, p. 185).


di Francesco Lora

http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-antonio-mamiliano-pistocchi_(Dizionario-Biografico)/


ALESSANDRO SCARLATTI



Il compositore di musica barocca Alessandro Scarlatti nasce a Palermo nel 1660.
Per gli storiografi del XIX secolo Scarlatti fu uno dei fondatori della scuola musicale napoletana, ovvero il maggiore compositore d'opera italiano tra la fine del XVII secolo e l'inizio del XVIII.

La sua vita si snoda tra Roma e Napoli, oltre ad alcune brevi soste a Venezia e Firenze.
A soli dodici anni inizia la sua prima formazione musicale a Roma sotto la guida del compositore Giacomo Carissimi.

Nel dicembre 1678 fu nominato maestro di cappella della Chiesa di S. Giacomo degli Incurabili (oggi S. Giacomo in Augusta).

Un mese più tardi ottenne la sua prima importante commissione in veste di compositore.

L'anno successivo completa la prima opera, Gli Equivoci del Sembiante, messa in scena a Roma.

Intorno a quegli anni il clima romano non è tra i più favorevoli per i compositori di opere con il divieto imposto da Papa Innocente XII alle rappresentazioni pubbliche dell'opera.

Per questo motivo Scarlatti si trova costretto a lasciare Roma per stabilirsi a Napoli dove è assunto come maestro presso la cappella del vicerè di Spagna.

A Napoli il compositore può avvalersi di importanti cantanti come la soprano Giulietta Zuffi e i castrati Paolucci e Brunswich.

Scarlatti resta al servizio della corte di Napoli per diciotto anni componendo ben trentadue opere, con una media circa di tre nuove opere all'anno.

Lo stile di Scarlatti andò evolvendosi verso la fine del XVII secolo per adeguarsi al gusto teatrale corrente. Pur conservando una scrittura fondata sul contrappunto tra voci e strumenti, le sue arie diventano più estese, e presentano sempre più spesso accompagnamenti affidati alle parti strumentali piuttosto che al solo basso continuo, come invece usava agli inizi della sua attività.

il virtuosismo richiesto ai cantanti nella sua musica, più che sfoggio di mere abilità tecniche, richiede maggiore espressività e attenzione al testo scritto.

Purtroppo con lo svolgersi della guerra di successione spagnola, la situazione a Napoli diventa difficile tanto che lo Scarlatti si trova costretto a lasciare Napoli per stabilirsi a servizio del Granduca Ferdinando II de' Medici a Firenze.

Tra i due però non c'è intesa in quanto il Granduca considera la musica dello Scarlatti troppo complessa, tanto da sentirsi costretto a lasciare Firenze per tornare a Roma dal suo precedente mecenate, il Cardinale Ottoboni.

Francesco Scarlatti

Francesco Antonio Nicola Scarlatti (Palermo, 5 dicembre 1666 – Dublino, gennaio genn. 1741 circa)  fratello minore del celebre Alessandro e zio dell’altrettanto famoso Domenico.


Francesco visse sempre sotto l’ombra dei suoi parenti molto più noti, Alessandro e Domenico Scarlatti. Tuttavia egli fu un abile musicista e ricevette parecchie nomine.

Dopo aver studiato musica presso i conservatori napoletani, il 17 febbraio 1684 fu nominato violinista della Corte Reale Napoletana, potendo quindi lavorare accanto al fratello Alessandro, che in quel periodo era stato nominato maestro di cappella. Nel 1690 sposò Rosalinda Albano, la quale nel 1706 morì dopo avergli dato cinque figli.

Nel febbraio del 1691 tornò in Sicilia, dove prestò servizio per 24 anni come maestro di cappella a Palermo. In questo periodo fu attivo anche come compositore: nel 1703 diede al Convento dell’Immacolata Concezione un dialogo a cinque voci e l’oratorio La profetessa guerriera, tra il 1699 e il 1710 all’Arciconfraternita del Santissimo Crocifisso di Roma altri due oratori e nel 1711ad Aversa rappresentò Lo Petracchio scremmetore, una commedia in dialetto napoletano. Nel 1715, nonostante il pieno appoggio da parte di Johann Joseph Fux, fu respinta la sua richiesta di diventare vice-maestro di cappella presso la Corte Imperiale di Vienna.



Ignazio Pollice

Ignazio Pollice (anche Pullicì) (1684-1705) è stato un italiano compositore barocco dell’epoca, da Palermo .


Egli è famoso soprattutto per il suo L’innocenza pentita: o vero la Santa Rosalia, che ha inaugurato il Teatro Santa Cecilia a Palermo nel 1693. (1)

Pochi dettagli biografici della vita di Pollice sono disponibili, ma alcune  delle sue prestazioni sono note. Era un rappresentante della scuola napoletana ed ha composto in un periodo dominato da Alessandro Scarlatti, che era anche di Palermo.

Pulici ha coposto  musica sia sacra che  profana, tra cui l’oratorio La vita rediviva nell’inventione di Santa Croce (1705), il dialogo Assalone ribelle e Scalae Jacob (1684 e il 1700, rispettivamente), e l’opera Isabella ovvero il Principe ermafrodito (1685), il dramma sacro l’innocenza pentita o vero la Santa Rosalia, il libretto era di Vincenzo Giattino.

(1) Il Teatro S. Cecilia fu fondato nel 1693 vicino alla Fieravecchia ad opera dell’Unione dei Musici. Nacque per le rappresentazioni dell’Opera. Si presentava con numerose logge e platee. Esso fu inaugurato con la rappresentazione della tragedia sacra “L’innocenza penitente” di Vincenzo Gattino, opera dedicata a S. Rosalia con le musiche di Ignazio Pulici.

Anche il Teatro S. Cecilia fu danneggiato dal terremoto del 1726 e restò chiuso fino al 1737, anno in cui fu riaperto dopo la fase di ristrutturazione.

Fu il principale teatro palermitano fino al 1809, anno in cui fu edificato il Teatro Carolino. Il suo interno fu demolito nel 1906.

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Ugo Arioti ricerche


venerdì 17 dicembre 2021

Don Pisciotta e Saro Panza @UgoArioti2016

Delle strane avventure e accadimenti di Luigi Pisciotta, inteso don Pisciotta e Rosario Panza, detto Saro.

Ovvero, riusciranno i nostri due eroi a portar giustizia e decoro umano

nell’antica capitale guglielmina?

Ispirato, liberissimamente assai, al Don Chisciotte della Mancia!

Sceneggiatore, scrittore, ideatore letterario (e chi più ne ha più ne metta)

 l’architetto e scrittore panormita Ugo Arioti, Conte di Sant’Ermete,

illustratore il rinomato pintore palermitano l’architetto Stefano Zangara

Prima puntata – Incipit ( Accumincia accussì!)

 

Ricordate, miei Signori, l’opera del grande Cervantes, il Don Chisciotte della Mancia? È considerata una delle opere più importanti della letteratura mondiale. Lo scrittore spagnolo principia il primo libro con un pretesto. Narra di aver ritrovato, casualmente, un manoscritto in arabo dello storico Cide Hamete Benengeli, in cui è narrata tutta la vicenda cavalleresca del nobile don Chisciotte della Mancia. Bene, anche a me e al mio amico Stefano, camminando per le strade di antica memoria e di lunga storia arabo-normanna del centro di Palermo, vicino ad un edificio semi diruto, è capitato di rinvenire un vecchio libro. Ora vi racconto!


 

Derelitto e pietoso, stava sulla balaustra di una finestra, pronto a spiccare un “salto” verso il cassonetto. La cosa, naturalmente, ci colpì perché non doveva succedere nel 2018, nella Capitale della Cultura, che un testo, seppur vecchio e malmesso, finisse nella spazzatura come un volgare rifiuto solido urbano!

- Stefano! - richiamai la sua attenzione - lo vedi?

- Il libro?

- Sì, poverino, se non lo prendiamo finirà nel cassonetto!  

- Prendiamolo!

Avevamo, nelle tasche, casualmente, un paio di guanti da chirurgo usa e getta. Così, io raccolsi quel disgraziato tomo che pareva un ammasso di fogli ingiallito, ricco di polvere e di insulti del tempo e dei piccioni.

State pensando che è una volgare presa in giro, ordita per arrivare ad asserire che il volume era scritto in arabo, e, magari, che era firmato, in un angolo spiegazzato, da Cide Hamete Benengeli. No, non è così! Stefano, col suo basco da pittore, e il sottoscritto, Ugo di Sant’Ermete, vedendo quel libro decidemmo di salvarlo dall’eterno oblio, tutto qua!

Aprendo con cautela qualche pagina pensai che si trattasse di un manuale di educazione sessuale pubblicato nel Secolo della “Grande guerra mondiale”, da un magrebino di nome Ràmmj Chiavì da Màghinà!, perché questa era l’unica scritta che si poteva leggere sul dorso del volumetto!

Per farla breve, per quel vecchio libro, “menzu spaiddatu”, è nata una competizione cripto letteraria tra me e Stefano. Oltre quel nome sbiadito, c’era un testo con immagini e sovra iscrizioni.

- Che te ne pare, c’è un numero: Ottocento e una lettera, la “A”! - gli dissi.

- “Ottocento A”?

- Sembrerebbe proprio così!

- Allora è un manuale di filosofia del sesso! Attipo, il Kamasutra! - esclamò, Stefano, prendendolo in mano per esaminarlo. Milioni di dubi e perplessità ne vennero fuori a un primo acchito. Eravamo in una zona di massimo degrado dove il tempo e il ciclo delle stagioni e scandito dall’orologio da “munnizza”. Il libro abbandonato, in fin di lettera, era in sintonia con l’ambiente.

- Mah! Stefano, a mia mi pari un esclamativo poetico, di uso comune a Palermo! - esclamai, dopo aver considerato superficialmente il tomo.

- E siddu è u titolo? Ugo! Secondo me, è un trattato filosofico!

- Potrebbe anche essere! - risposi, senza esserne pienamente convinto. Bisognava togliere la polvere del tempo, per un migliore approfondimento, ma ce ne guardammo bene. Nsa mai!

In conclusione, non ci capimmo un granché! Ergo, necessitava trovare uno scienziato, alla portata delle nostre tasche, che potesse ripulire e sbrogliare la matassa e spiegare a noi la natura del manoscritto. La scelta fu rapida e immediata, quasi indolore. Entrambi, guardando il libro e considerando il luogo del ritrovamento, esclamammo: - Il professore Giustino Ridisco!

Un anziano insegnante di lettere e francobolli, in pensione da sempre, che abita a Ballarò!

Così, sic et simpliciter, per dirimere la faccenda, siamo andati a bussare alla porta dell’illustre ed erudito filosofo dell’Albergheria Giustino Ridisco, detto Tino, un libero pensatore, libero da ogni “travagghiu”, libero da ogni lobbie economico finanziaria capitalistica e liberi tutti!

Lui, dopo due settimane di “spacernamento” (lavoro mentale), è riuscito a decifrare quell’opera. Dopo averlo ripulito e sistemato alla meno peggio, il vecchio e illustre professore, Tino Ridisco, ci espose il suo pensiero.

-Picciuotti, semu iu Vicè e u zu Tatò, vuavutri u capiti ca almenu una manciata na ‘nGrassciata, l’avissimu a fari!

- Chi veni a diri prufissuri! Mancanza!

Così si sciolse la sua lingua e ci espose la sua tesi. Non era, a dir suo, come in un primo momento avevo pensato, un manuale di “educazione sessuale”, bensì un romanzo cavalleresco. Non era scritto da un arabo, ma da un certo Panfilo Filibustelli, noto a Palermo nel XVII Secolo come filosofo, lettore di nuvole e narratore eccelso! Restava il mistero di quel bisillabo di uso frequente in queste contrade dell’Isola:800A?! Tino Ridisco asserì che doveva trattarsi di tre numeri e una lettera: 800A!, un codice di classificazione archivistica! Mah?

Ora vorrei dirvi qualcosa sull’uso cavalleresco, non so perché, magari solo per allungare il sugo e levarci quel coccio di piccante r’astrattu! La cavalleria errante è viva ancora oggi. Sono individui che pensano di poter modificare in meglio la realtà, tristemente conosciuta da tutti, dello sfruttamento e della furbizia seriale; insomma, questi residui di rivoluzionari da cavalletto e ricamo, piuttosto che cercare di organizzare una controrivoluzione per abbattere il sistema capitalistico di sfruttamento dell’individuo, lo ammoniscono e lo multano con le loro avventuresche scorribande! Questi eroi, siano essi professori universitari o scaricatori di porto, cercano di ottenere un risultato utile, a senso loro, per far giustizia. Si lanciano nella mischia, sicuri di salvare qualcuno o punire chi fa un torto, ma, il più delle volte, creano più rumore che danno:  cavalieri “erranti”! Che state pensando? Che questa è una storia da medio evo? No, questo è il racconto di quello che succede ancora oggi. Qua la domanda sorge spontanea, cosa è un cavaliere “errante”? È un uomo forte e valoroso, incurante dei pericoli e dei rischi, pronto a mettere a repentaglio la propria vita per fare del bene? No, è un cavaliere che erra, nel senzo di “cummina minchiati”! Il massimo esponente di questa illustre categoria è Rolando, nipote e paladino di Carlo Magno, ma questa è un’altra storia!

Signori miei illustrissimi ecco perché ci ispiriamo al “Don Chisciotte” di Cervantes!  Stimolati da questo modello, vogliamo raccontarvi, amati lettori, la storia di don Pisciotta, al secolo Luigi Pisciotta e Sariddu Panza, detto Saro.

Oh mi stancavu. Haiu a lingua surata, basta, firmamunni ‘ca, ma vi aspettiamo il prossimo mese per raccontarvi le avventurose avventure di Luigi e Saro, bedda matri, picciotti, chi cuosi! Salutamu!

 

Ucraina. La “linea Zelensky” non tiene, Kiev teme il tracollo di Marco Santopadre | 7 Mar 2024 | Apertura, Mondo di Marco Santopadre

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